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THE ROAD TO GUANTANAMO
Documentario, Drammatico
di Michael Winterbottom, Mat Whitecross
con Rizwan Ahmed, Steven Beckingham
95 minuti - Gran Bretagna 2006

Sugli Esteri del Corriere di ieri spiccava un gran titolo: «L' Onu agli Usa: Guantanamo va chiusa subito». Seguiva un testo di evidenza cristallina: «Gli Stati Uniti utilizzano nel carcere di Guantanamo Bay a Cuba metodi disumani che violano la salute fisica e mentale dei detenuti e in molti casi equivalgono a torture». Perciò la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, riservandosi di incriminare ufficiali e soldati responsabili di atrocità, ha intimato a Bush di chiudere immediatamente il lager trasferendo nel territorio metropolitano per sottoporli a regolare processo quelli fra i 750 prigionieri che ancora vivono dietro le sbarre. Ovviamente la Casa Bianca ha reagito male e adesso vedremo come andrà a finire. Non poteva comunque arrivare più tempestiva la proiezione alla Berlinale di The Road of Guantanamo, dove Michael Winterbottom insieme con Mat Whitecross ha ricostruito sulla testimonianza di tre sventurati musulmani di Birmingham la storia di una detenzione ingiusta durata due anni e due mesi e contrassegnata da ogni sorta di torture. Siamo di fronte a un cinema di pronto intervento storico-politico, come il precedente film di Winterbottom In This World vincitore dell' Orso d' oro nel 2003. E infatti perché tutti possano vedere questo film prodotto dalla Tv britannica Channel Four, che lo metterà in onda il 9 marzo, il giorno dopo la pellicola uscirà in 20 o 30 sale inglesi, sarà noleggiata in dvd e scaricabile da Internet. Tipico esperimento di un mercato in via di rapida mutazione, che tiene conto di tutti i canali per diffondere un messaggio di particolare importanza civile. Accolto con viva commozione e applausi, The Road to Guantanamo non è consigliabile agli spettatori impressionabili perché il carico di crudeltà che passa sullo schermo è a tratti insostenibile. Winterbottom è un maestro del cinema «quasi vero» e qui non ha smentito la sua fama. Di fronte a questo palpitante film di denuncia, mi sentirei di fare una sola riserva, relativa al fatto che i tre protagonisti sottoposti a vessazioni sono in realtà innocenti. Bisogna invece precisare che nemmeno un vero terrorista, nemmeno Bin Laden in persona, andrebbe trattato con i metodi criminali che vediamo riprodotti qui. Incluso lo spregio, che si concede un «marine», di prendere a calci il Corano.
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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