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Giovedì 16 Maggio 2024
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CHE - GUERRIGLIA
Biografico
di Steven Soderbergh
con Lou Diamond Philips, Benjamin Bratt, Benicio Del Toro, Franka Potente
132 minuti - USA, Spagna, Francia 2008

Che-Guerriglia di Soderbergh è l'intenso secondo atto dell'epopea del rivoluzionario argentino: dall'arrivo in Bolivia alla tragica fine. L'avventura del Che inizia nella luce della Sierra Maestra cubana, e si chiude nei colori freddi di La Higuera, fra le montagne della Bolivia. Sono passati quasi 9 anni dalla vittoria di Santa Clara, che il capodanno del 1959 ha segnato la fine della dittatura di Fulgencio Batista (e che Steven Soderbergh ha raccontato in Che - L'argentino, prima parte del suo lungo film dedicato a Ernesto Guevara). Da allora, il medico guerrigliero è stato nel governo di Fidel Castro e poi, riprendendo il suo cammino di rivoluzionario armato, ha combattuto in Congo. Di tutto questo, per altro, non dà conto Che-Guerriglia (Che: Part Two, Usa, Spagna e Francia, 2008, 131'). Scritta da Peter Buchman e Benjamin A. van der Veen sulla base dei diari boliviani del Che, la sceneggiatura non si occupa dei motivi che lo inducono a lasciare non solo i propri incarichi politici, ma addirittura l'isola. Al suo centro sta invece la parabola declinante di un uomo, e della sua fede. «Tu credi?», domanda un soldato boliviano messo di guardia nella stanza buia in cui Guevara aspetta d'essere ammazzato, l'8 ottobre del1967. Non è solo incuriosito, il giovane carceriere. L'uomo che gli sta davanti ferito, con le mani e i piedi legati, viene da un mondo lontano, da un Paese senza dio. Così gli hanno detto i suoi superiori, e così il governo boliviano ha fatto dire ai contadini, per spingerli a denunciare gli «invasori stranieri ». Ma ora in lui vive una strana simpatia. E gli parla, gli parla come si fa con un essere umano. «Credono in dio, i cubani?», gli domanda. E tu, «tu credi?». La risposta del Che è sicura, e insieme colma di dolore. «Io credo nell'uomo», gli dice. Sono le sue ultime parole, prima di quelle con cui, nel primo pomeriggio del giorno dopo, incita il boia che esita: «… spara, dunque…». «Non c'è rivoluzionario, se non c'è amore», aveva detto tra i monti di Cuba. Intendeva l'amore per gli uomini e per le donne dell'America Latina, in nome dei quali combatteva, e in nome dei qua-li stava per assumersi «la responsabilità di governare». In questo crede: nell'uomo, e in una propria missione di salvezza dell'uomo. È questa fede che lo induce a lasciare Cuba, dove la rivoluzione si è stabilizzata e burocratizzata. Chi ama, e chi amando vuole servire il suo dio, non può avere pazienza, non può attendere che la missione si compia in un tempo che non stia già qui, nel presente. Quando imbraccia il fucile – «le rivoluzioni si vincono sparando» –, Guevara "partecipa" alla salvezza dell'uomo. E ai suoi occhi non rileva quanta morte serva per pagarne il conto. «Abbiamo fucilato, fuciliamo, fucileremo», aveva detto tra la fine del 1964 e l'inizio del 1965 a una giornalista americana. Anche la propria morte non è per lui che un incidente di percorso (questo separa l'altruismo omicida del rivoluzionario armato dall'egoismo omicida del potente, che primo di tutto vuole sopravvivere). Insomma, il Che, almeno quello di Soderbergh, ha la purezza e la durezza d'ogni profeta e santo.D'altra parte,proprio come ogni profeta e santo, finisce per vivere e soffrire la distanza che per lo più sta fra l'ideale, utopico o divino che sia, e la prosaicità della storia. Arrivato in Bolivia nei primi mesi del 1967 con gli stessi intenti e la stessa fede con cui era sbarcato a Cuba, Guevara guida un piccolo numero di uomini decisi ad abbattere il regime di René Barrientos, al governo dal 4 novembre 1964, dopo un colpo di stato militare. Ma già nel cinema c'è un presentimento di sconfitta. La macchina da presa non "guarda" più come in Che-L'Argentino. Le inquadrature non sono più corali. Spesso i singoli guerriglieri sono ripresi gli uni separati dagli altri, a sottolinearne la solitudine esposta al tradimento da parte di quegli stessi uomini e donne che vorrebbero liberare e salvare. Anche i colori perdono vita, illividendosi nella fatica di una fede che non vuole, che non può disilludersi. Così, mentre l'esercito di Barrientos – equipaggiato e assistito dagli Usa – spinge i rivoluzionari in una trappola mortale, la regia riduce sempre di più il campo di ripresa, fino a stringerlo sul corpo del Che. Rimasto solo, accerchiato dai militari, di lui ora non vediamo che la divisa verde scuro coperta di polvere, il volto nascosto dalla barba disordinata, il fucile distrutto da una pallottola, la pistola inutilmente puntata. Colpito alle gambe, nascosto dietro una roccia, della sua avventura restano solo frammenti confusi, che niente più ricordano della luce chiara di dieci anni prima. Alla fine, al suo assassinio volgono i propri occhi alcuni contadini. Sono lontani, quegli occhi, lontani e indifferenti a ogni fede, a ogni sogno di liberazione.
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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