Avventura di Stefen Fangmeier con Jeremy Irons, Djimon Hounsou, Robert Carlyle, John Malkovich 108 minuti - USA 2006
Eragon è il nome del ragazzo protagonista della saga, ma la maggiore novità sta nel fatto che il drago suo amico e compagno di lotta è una draga o draghessa, o drago femmina, di nome Saphira. Il ragazzo orfano ha trovato nella foresta una pietra azzurra. Scopre con sorpresa che si tratta d'un uovo di drago e se ne prende cura finché non nasce una femmina che diventa amica gigantesca, ultradentata, alla quale l'eroe con pazienza e ingegno insegna anche a volare. Grazie a lei Eragon si unisce a un gruppo di cavalieri nemici del re feroce che li ha espropriati del loro regno instaurandovi una dittatura del terrore. Scontri, misteri, insidie, magie, grande battaglia, vittoria dei buoni. Il film è lussuoso, scintillante (il colore dominante è quello dell'oro) e tuttavia è un poco scipito.
L'ideatore della saga (per le edizioni Fabbri ne sono usciti due volumi, Eragon e Eldest) è un adolescente americano, Christopher Paolini del Montana che non è mai andato a scuola ma è stato istruito dalla madre, insegnante secondo il metodo Montessori. A 15 anni ha cominciato a scrivere Eragon. Due anni dopo (era il 2002) lo ha fatto leggere ai genitori che, entusiasti, l'hanno pubblicato a proprie spese. Per fare pubblicità al libro, il giovanissimo autore con corazza, stivali e spada, ha girato per scuole e librerie, finché un vero e importante editore, Knopf, non ha deciso una solida edizione comprendente pure il terzo volume della trilogia, Empire.
I libri di Paolini hanno avuto strepitoso successo negli Stati Uniti e nel mondo occidentale. E' possibile che molti lettori restino delusi dal film nonostante gli effetti speciali di cui il regista è un ex specialista, nonostante il cast che comprende John Malkovich (il re malvagio) e Jeremy Irons (il cantastorie), nonostante i tanti ammiratori (il fantasy è quasi l'unico genere letterario letto e amato dai ragazzi). Eragon è infatti scipito, senza nobiltà né inventiva visiva né passione, ha la stessa creatività degli addobbi natalizi nei grandi magazzini. Dà un'impressione di mediocrità: come ha scritto La rivista del cinematografo, ricorda l'estetica da videogame anziché la colta, raffinata cosmogonìa de Il Signore degli Anelli. Lietta Tornabuoni (La Stampa)
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