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INFAMOUS - Una pessima reputazione
Drammatico
di Douglas McGrath
con Peter Bogdanovich, Jeff Daniels, Hope Davis, Daniel Craig, Gwyneth Paltrow, Isabella Rossellini, Sigourney Weaver
118 minuti - USA 2006

Per un caso bizzarro e a suo modo istruttivo, a meno di un anno dall'uscita del magnifico Capote di Bennett Miller arriva sugli schermi un altro film ispirato alla stessa storia. Ovvero a come Truman Capote concepì e poi scrisse il suo capolavoro A sangue freddo. Come arrivò in Kansas con i suoi modi snob, la vocetta impossibile, le sciarpe e i cappottoni da prima donna. Come conquistò poco a poco la confidenza della gente del posto e del procuratore che indagava sul quadruplice omicidio. Come seppe sedurre anche i due assassini, quando furono acciuffati, e soprattutto uno di loro, Perry Smith (sullo schermo è Daniel Craig), col quale sviluppò un rapporto così stretto da non escludere, pare, un autentico e problematico amore reciproco. Tutto questo c'era nel Capote di Bennett Miller e c'è in questo Infamous di Douglas McGrath, già regista fra l'altro di Emma e sceneggiatore di Pallottole su Broadway. Ma se la vicenda e perfino il suo arco temporale sono gli stessi, il tono, il taglio, i dettagli, non potrebbero essere più diversi. Capote era austero, concentrato, essenziale, molto emozionante, Infamous è colorato, brillante, pettegolo, saltellante, soprattutto nella prima parte. Miller stringeva attorno al contrasto insanabile fra pietà umana e creazione artistica, scavando nel tormento dello scrittore ansioso di vedere i "suoi" protagonisti salire sulla forca perché il suo romanzo potesse finalmente uscire ma anche straziato da dolore e sensi di colpa. McGrath calca la mano sul contrasto fra i modi da jet set di Capote e la semplicità rurale del Kansas; si attarda su volti e vezzi del suo entourage mondano, da Babe Paley (Sigourney Weaver) a Marella Agnelli (Isabella Rossellini), dalla mitica editor di Vogue, Diana Vreeland (Juliet Stevenson), a Slim Keith, ex-moglie di Howard Hawks, che malgrado il gusto per il gossip rifiuta di aprirsi troppo con Capote («Non mi fido di te, prima o poi scriverai tutto», cosa che effettivamente Capote avrebbe fatto molti anni dopo, accelerando la sua fine mondana e letteraria). Tanti dettagli, spesso di prima mano, magari manderanno in estasi i fans delle biografie tutte nomi e fatti, e non mancano le scene riuscite (Capote che conquista il severo procuratore spettegolando su Bogart e Sinatra; i ripetuti incontri in cella con l'assassino, diviso fra diffidenza e bisogno d'amore; la sua rabbia violenta quando scopre che malgrado tutto Capote lo sta usando). Ma nonostante la bravura e l'aderenza fisica del minuscolo Toby Jones, il film finisce per somigliare troppo al suo protagonista (alla sua esteriorità), disperdendosi in una variegata superficie di riflessi che non va mai al cuore della doppia tragedia. Né riesce a rendere davvero credibili i numerosi personaggi. Tanto da affidare a Sandra Bullock, così sorridente e levigata, il ruolo chiave dell'amica e confidente Harper Lee, la scrittrice di Buio oltre la siepe. Un miscasting clamoroso che dà il tono generale del film.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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