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Martedì 30 Aprile 2024
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VERSO IL SUD
Drammatico
di Laurent Cantet
con Charlotte Rampling, Louise Portal, Karen Young
105 minuti - Francia, Canada 2005

I film invecchiano come le persone e in molti casi più rapidamente. Prendiamo il caso di Verso il sud, transitato all' ultima Mostra di Venezia portandosi via un premio minore di cui parleremo. Firmato dal Laurent Cantet di Relazioni umane, questo dramma equatoriale è riassumibile nella battuta che pronuncia in sottofinale un losco ispettore di polizia: "I turisti non muoiono mai". Una formula lapidaria per sancire la distanza fra i "bianchi" locupletati, che vanno al sud nella speranza di una vacanza secondo natura, e i miserabili di colore, che al sud ci vivono e magari sotto il tallone di una dittatura. Come accade nel film tratto dai racconti del libro La chair du maître di Dany Laferrière, ambientato a Haiti negli anni ' 70, quando comandava il sanguinario Duvalier. Sulla spiaggia assolata dell' hotel Petite Anse alcune signore sole fraternizzano con i macrò indigeni fra bagnature e spinelli, balletti e intermezzi in camera. Finché succede un fatto orribile, commentato dal suddetto poliziotto per cui i turisti costituirebbero una razza che non corre rischi. Ma si può ancora affermare una cosa simile, trascorsi appena un paio d' anni dalla lavorazione di Verso il sud, quando gli attentati del Mar Rosso hanno trasformati in carne da cannone tanti europei in vacanza? O non è invece suonata l' ora di renderci conto che siamo tutti sulla stessa barca, gravemente minacciati finché non verranno universalmente rispettate le regole del gioco? Oggigiorno (e approfittiamone per aggiornare la morale del film) anche i turisti muoiono. Leggo che il regista non vuol sentir parlare di "turismo sessuale", preferirebbe "turismo d' amore". In realtà i comportamenti delle protagoniste giustificano entrambe le accezioni. Ellen, la più matura, è una professoressa di Boston che dichiara 55 anni (Charlotte Rampling ne ha qualcuno di più, anche se non li dimostra); Brenda (Karen Young) ha lasciato il marito a Savannah e Sue (Louise Portal) è un' impiegata inquieta di Montreal. A tutte e tre il film dà la parola, nel senso che concede a ciascuna un monologo con lo sguardo in macchina nel quale spiegano le rispettive frustrazioni in patria e le speranze con cui sono approdate ai Caraibi. La bostoniana accetta pragmaticamente la sua condizione di praticante del rapporto "snaturale" (come direbbe Ruzante), ma non privo di rispetto per il partner prezzolato; la georgiana si innamora, si ingelosisce e tende a idealizzare la situazione; e la placida canadese accetta quel poco di felicità che riesce a strappare. Un breve monologo è riservato anche ad Albert, il padrone dell' albergo, anti-Usa per tradizione familiare e tuttavia solerte nell' applicare le norme dell' apartheid (liberi tutti al mare, ma niente neri al ristorante). L'unico fra i protagonisti che non si racconta, ma viene raccontato, è il giovanotto Legba, la versione postmoderna del buon selvaggio destinato a una brutta fine. E proprio al Ménothy César la giuria veneziana ha riservato il premio Mastroianni per un attore esordiente. Sono sicuro che l'interprete di 8 ½ lo avrebbe apprezzato per la prestanza, la grazia con cui parla e si muove, mangia, beve e intasca i soldi; e in generale per la sommessa autorevolezza con cui si appropria del film. Ma il nostro Marcello, da buon allievo della scuola di Visconti, avrebbe poi aggiunto: chissà se è proprio un attore, prima di premiarlo vediamolo in qualche altra cosa. Un vero attore, e bravo, è sicuramente Lys Ambrose che aprendo e chiudendo la vicenda nei panni dell' albergatore svolge la classica funziona del "coro"; e un' attrice addirittura eccezionale è la Rampling, che ha sempre il coraggio (qualcuno dice la sfrontatezza) di mettersi a rischio tutta intera, proprio fisicamente, e ogni volta riesce a raccontare con accenti di modernità il male di vivere.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
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