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Lunedì 29 Aprile 2024
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LEONI PER AGNELLI
Drammatico
di Robert Redford
con Robert Redford, Meryl Streep, Tom Cruise, Michael Peña, Derek Luke, Andrew Garfield, Peter Berg
91 minuti - USA 2007

Tre ambienti. Tre sfide. Tre duelli, in senso fisico e morale, in cui ogni contendente si gioca tutto. Le sue scelte, le sue convinzioni, la sua carriera, talvolta la sua stessa vita. Un senatore repubblicano tenta di convincere una giornalista tv a sostenere e "lanciare" la sua nuova strategia militare in Afghanistan (Tom Cruise e Meryl Streep). Un professore universitario convoca di buon mattino il suo miglior allievo per spiegargli perché deve impegnarsi fino in fondo e non sprecare la sua intelligenza (Robert Redford e Andrew Garfield). Due marines un afroamericano e un ispanico si ritrovano feriti e circondati dai talebani fra i monti dell'Afghanistan in piena notte (Derek Luke e Michael Peña). Dettaglio chiave: i marines, ex-allievi del professore, sono le prime cavie della strategia decisa dal senatore. Inoltre le tre azioni si svolgono contemporaneamente, in tempo reale. Il cinema americano non ha mai avuto paura del teatro è uno dei suoi punti di forza, per paradossale che possa sembrare e nei momenti di crisi sa ancora tornare all'essenziale: un "palcoscenico" ben illuminato; due o più personaggi in lizza; una sfida in cui non si decide solo chi vince e chi perde, ma le regole stesse della sfida. E' anche, o almeno dovrebbe essere, l'essenza della democrazia Usa (del suo sistema politico e giudiziario), che il cinema ha trasformato in spettacolo a colpi di inquadrature, di montaggio e di interpretazioni calibrate allo spasimo. Come quelle di Leoni per agnelli, una specie di "messaggio alla nazione" indirizzato non da un presidente qualsiasi (i presidenti sono in ribasso negli ultimi tempi) ma da Robert Redford, che ha la statura e il prestigio per arrogarsi un simile privilegio. Di cosa muore oggi la democrazia americana? Di indifferenza, dice Redford in ogni fotogramma. Muore perché i migliori (lo studente dotato) non vogliono mescolarsi ai peggiori (la classe politica), così confondono il disincanto col disimpegno e abbassano le armi prima del tempo, accontentandosi del benessere. Muore perché manda in prima linea i più sfortunati (i marines reclutati nei ghetti e giunti all'università solo per meriti sportivi), mentre i privilegiati sprofondano nel cinismo (è il senso della lunga ed emozionante tirata del professore). Muore perché i media si fanno arruolare dalla politica (la Streep oggi critica Cruise, ma ieri ne ha fatto il nuovo astro dei repubblicani). Con attori meno dotati sarebbe un autogol, nobile ma verboso. Con questo cast, e con dialoghi tanto affilati, è un'americanissima prova di coraggio e di ottimismo della volontà. Mentre l'Occidente sprofonda nell'ironia, nel disincanto, nelle dietrologie, Redford ci ricorda che siamo tutti sulla stessa barca e ognuno deve fare il suo dovere. meglio: essere se stesso fio in fondo. Anche se sono gli altri a morire, magari per una causa sbagliata. Facile respingere il messaggio al mittente con sufficienza, parlare di retorica, dire la guerra l'hanno voluta gli Usa, non ci riguarda. Ma sarebbe più onesto riconoscere che stavolta Redford parla a tutti noi.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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