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Lunedì 29 Aprile 2024
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PARANOID PARK
Drammatico
di Gus Van Sant
con Gabe Nevins, Dan Liu, Jake Miller, Taylor Momsen, Lauren Mc Kinney, Olivier Garnier, Scott Green.
90 minuti - Francia, USA 2007

Stentiamo a ricordare il titolo di un film che abbia saputo rappresentare i teenager con la stessa sensibilità e precisione di Paranoid Park: rappresentare in senso stretto, con le posture, gli sguardi in tralice, i silenzi che caratterizzano quella fase della vita in cui tutto il mondo sembra esserti ostile. Al confronto lo stesso Gioventù bruciata, il cult generazionale degli anni '50 diretto da Nicholas Ray e interpretato da James Dean, appare artificioso, troppo "recitato". Il soggetto del nuovo film di Gus van Sant, premio speciale per la sessantesima edizione di Cannes, è tratto dal romanzo di Blake Nelson e si può riassumere in poche parole. A Portland, nei pressi di un parco malfamato frequentato da skater, senzacasa e marginali vari, il sedicenne Alex provoca involontariamente la morte di un agente di sicurezza. La polizia lo interroga, assieme agli altri studenti del suo liceo che praticano lo skateboard; Alex non confessa, ma è torturato dal senso di colpa. Van Sant definisce il film un "Delitto e castigo" al liceo; non si vede il castigo però (a parte il rimorso), né esiste una trama gialla: tutta l'attenzione della macchina da presa è concentrata sul ragazzo, con inquadrature instabili che fungono da correlativo oggettivo del suo stato d'animo. Gli stili diversi di cui Paranoid park è intessuto (a cominciare dall'uso alternato di pellicola professionale e amatoriale) ricordano "Elephant", la premiata pellicola di Gus Van Sant con protagonisti adolescenti che parafrasava la strage all'high school di Columbine, nel Colorado; le scene lungo i corridoi del liceo, addirittura, potrebbero appartenere all'altro film. Come là, anche in questo caso il cineasta non vuole arrivare ad alcuna conclusione; ed è molto meglio così, poiché la sua tecnica di (anti)racconto finisce per essere molto più eloquente e rivelatoria di qualsiasi perorazione o predica. Non c'è giudizio in van Sant, né il suo Alex è un mostro che riprende le atrocità (la scena del sorvegliante tagliato in due dal treno) col telefonino. Al notevole risultato, il film arriva per più vie. Grossa parte del merito va ai giovanissimi protagonisti. Non è stata una trovata pubblicitaria, ma un autentico colpo di genio, reclutarli sul sito MySpace: "più vero della vita", Gabe Nevins non recita una parte, ma s'identifica totalmente col personaggio. L'altro punto di forza è, come sempre nel regista, rigorosamente linguistico. Un esempio: a misurare il terreno che separa il ragazzo dai genitori, quindi la sua solitudine, la madre viene ripresa solo di spalle, o in campo lungo; e se il padre appare nella stessa inquadratura con Alex, la sua figura resta in secondo piano, sfocata; se ne notano soprattutto i tatuaggi. Emergono il vuoto di senso, l'apatia di un mondo sordo dove tutti se ne fregano di tutti (come osserva Macy, il "grillo parlante" di Alex), dove i tredicenni si lanciano in un fiume di parole ai limiti del nonsense (il fratellino) o una liceale, appena consumato il primo rapporto sessuale, chiama al telefonino l'amica del cuore per raccontarglielo. Sorprendente la colonna sonora, che mischia Ethan Rose e altro con molti brani selezionati dal repertorio felliniano di Nino Rota.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
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