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Martedì 30 Aprile 2024
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BOLT - Un eroe a quattro zampe
Animazione
di Byron Howard, Chris Williams
97 minuti - USA 2008

«Poter tornar bambini / giocare coi balocchi...». Non ricordo chi ha affermato che le canzoni si ricordano perché «dicono la verità». E proprio quel remoto motivetto (chi l' ha scritto? chi lo cantava?) mi torna in mente ogni volta che vedo un cartoon con il marchio Disney come l' attuale Bolt - Un eroe a quattro zampe. Penso anche ai bimbi in passeggino che incrocio per strada, abbracciati spesso al loro pupazzo feticcio (una bambola, un coniglio, uno scimmiotto...) come a una persona viva con cui parlare, confidarsi, ridere o piangere. Su tutto ciò si fondò la rivoluzione copernicana del glorioso Walt: quella di inventare, dietro al passo saltabeccante di Mickey Mouse, un universo metaforico ben presto diventato imperituro, dove i pupazzi parlano e agiscono come esseri umani. Il che apre un problema, per i piccoli (ma fino a che età si ha il diritto di esserlo?) e di riflesso per noi: dobbiamo continuare a credere, sia pure a intermittenze, nelle favole consolatorie dell' animazione o in piena lucidità dobbiamo limitare lo sguardo al mondo com' è? Leggendo gli incassi, a partire da quelli degli Usa, paese-guida del culto pupazzistico, si direbbe che la massa non cessa di avvertire il bisogno di un salvifico bagno di fantasia. Fra tanti generi ormai logori e smessi, il disegno animato non passa mai di moda, tende anzi ad allargare e sfruttare la clientela in tutte le sue diramazioni merceologiche (giochi, magliette, icone di amichetti immaginari da portarsi a casa...). Si tratta, tutto sommato, di un colossale affare, uno dei pochi che ancora reggono nel mondo dello spettacolo. Prendiamo Bolt dei registi Williams & Howard, avventure di un grazioso cagnolino (voce di John Travolta nell' originale, da noi è Raoul Bova) ardito protagonista di una serie tv in cui travolge le trame dei malvagi. Bolt è convinto di essere davvero l' eroe che impersona per le telecamere, ma sballottato per caso da Hollywood in piena New York si accorge ben presto di non possedere superpoteri. Parte comunque al salvataggio della padroncina Penny e per ritrovarla deve attraversare il continente da costa a costa al modo degli hobos di Steinbeck. Alla fine (credo di non svelare un segreto) il cane si ritrova titubante nel mondo reale come Pinocchio quando diventa un bambino per bene in quell' apoteosi conformista che non è mai piaciuta a chi predilige il burattino. E' dunque tutto facile e scontato in questo film? Ma no, cominciamo col dire che dietro l' apparente semplicità c' è il gigantesco lavoro di centinaia di specialisti pressoché impossibili da enumerare sui titoli di coda. E poi la vicenda stessa può indurre a riflessioni non superficiali: come quella del rapporto fra finzione e realtà; o la messa in discussione della sindrome di onnipotenza tipica dell' infanzia che la psicoanalisi raccomanda di accantonare, pena la follia, un volta pervenuti all' età matura. Per non parlare della lezione stilistica che emana dal montaggio serrato e concatenato di azioni dove non trovi un metro di pellicola in più, cosa che raramente accade quando sono in ballo attori in carne e ossa. Il contraltare dei cartoon è il tiggì con i suoi processoni sanguinari, il padre padrone che stermina la famiglia, i neovitelloni riminesi che versano la benzina sul barbone dormiente e gli danno fuoco... Viene alle labbra un' altra veridica canzone: «Cosa mi importa se il mondo mi rese glacial / se d' ogni cosa nel fondo non trovo che il mal?». E' giusto allora non chiudere gli occhi di fronte all' abisso che ci spalancano le cronache del video o è lecito rifugiarsi ogni tanto nel paradiso buonista di film come Bolt?
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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