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Martedì 30 Aprile 2024
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L'OSPITE INATTESO
Drammatico
di Thomas McCarthy
con Hiam Abbass, Richard Jenkins
103 minuti - USA 2008

Esistono film-Davide e film-Golia. Questi ultimi sono le superproduzioni, i blockbusters che spendono in pubblicità più di quanto sono costati e ammiccano da tutti i manifesti, giornali e tv. I Davide sono i film piccoli, fatti con pochi soldi, che per forza propria si assicurano un durevole spazio nella memoria senza clamori a pagamento. Rientrano in tale categoria i classici del neorealismo italiano, le scoperte della Nouvelle Vague, gli esordi di Ferreri e Olmi, le sortite di Cassavetes e altri americani indipendenti. Tutte imprese di stazza orgogliosamente inferiore, il cui segno incide più di molte roboanti chiamate cadute presto nell' oblio. A tale schiera, che recuperando una remota espressione dagli scritti musicali di Schumann potremmo chiamare dei «seguaci di Davide», appartiene certo L' ospite inatteso: tenuto a battesimo dal Sundance e vincitore a Deauville sempre in virtù della qualità. Saldamente poggiato sulle robuste spalle di Richard Jenkins, attore con splendidi precedenti teatrali che il cinema si accontenta di usare come caratterista, il film scritto e diretto da Tom McCarthy presenta un uomo di mezza età insegnante di economia in un' università provinciale, disamorato della vita e con il bicchiere a portata di mano. Vani risultano i suoi tentativi di imparare a suonare il pianoforte in omaggio alla moglie scomparsa, che era una brava concertista. A spezzare la triste routine di Walter Vale interviene un viaggio di lavoro a New York, dove ha mantenuto, senza più utilizzarlo, un appartamento al Village che scopre occupato da una coppia di squatters: il siriano Tarek (Haaz Sleiman) con la compagna senegalese Zainab (Danai Gurira). Smaltito il primo scontro i due accettano di sloggiare, ma vedendoli spaesati Walter si rassegna a tenerseli per un pò. E subito Tarek incuriosisce il professore con i suoi esercizi di percussione sullo «jambè», che gli fa rimediare qualche soldo come ambulante, e si accinge a insegnarglielo. Pian piano Walter si concede tante passeggiate con il nuovo amico, mangia il kebab e partecipa suonando a certi collettivi che gli fanno recuperare un' inattesa pulsione di vita. Sostituendo l' impossibile ritorno del pianoforte, il tamburo risuona come una metafora della sopravvivenza al lutto. Il dramma scoppia quando Tarek viene arrestato perché senza documenti e rinchiuso fra altri 300 nel centro di detenzione di Queens. Toccato con mano il frutto avvelenato delle leggi emanate dopo l' 11 settembre, Walter ospita Mouna (Hiam Abbas, splendida attrice anche lei), la madre dello sventurato accorsa dalla Siria, si unisce al gruppo etnico degli stambureggiatori e perfino sostituisce Zainab quando deve assentarsi dalla bancarella dove vende ninnoli artigianali. Nello sforzo di rasserenare un pò le due donne in ambasce, l' amico americano le asseconda nell' ingenuo svago di andare su e giù gratis sul traghetto di Ellis Island, all' ombra di quella Statua della Libertà simbolo di valori ben lontani dalla cieca xenofobia dell' amministrazione Bush. A sorpresa, infine, Walter realizza il sogno di Mouna di vedere a Broadway Il fantasma dell' opera e nel corso della serata si capisce che fra i due potrebbe nascere qualcosa di più. Ma il film è troppo serio per scivolare su un finale consolatorio... Alla sincerità che McCarthy sa unire a un talento di osservatore della realtà e direttore di attori, bisogna rispondere adeguatamente. Siamo di fronte, rara avis, a un bel film che fa del bene. Ti insegna ad accettare l' «ospite inatteso» anche quando è profondamente diverso; e chiamiamolo pure «abbronzato», secondo la nota espressione del Cavaliere. Un tipico film-Davide che pur maneggiando la fionda del messaggio politico non trascura di impartire un augurio esistenziale: possa il ritmo vitale dello jambè rimettere la tua anima in movimento facendo balenare due soldi di speranza.
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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