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ANNA KARENINA
Drammatico
di Joe Wright
con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Kelly MacDonald, Matthew MacFadyen
130 minuti - Gran Bretagna 2012

"Vietati i rimpianti. E non perché quest' ultimi - legati alle numerose versioni cinematografiche di 'Anna Karenina' - siano infondati, ma proprio perché le gamme tradizionali di trasposizione sono state ampiamente esplorate già a partire dall'età del muto. Ai giorni nostri, vogliamo dire, un revival del capolavoro di Tolstoj può avere senso rielaborandosi come fa il film candidato a quattro Oscar del regista Wright e lo sceneggiatore Stoppard ovvero sarebbe destinato a scoprirsi inutile o manieristico. Può conquistare o meno l'emozione dello spettatore, insomma, ma l'effetto di straniamento che rispetta i costumi, le ambientazioni, l'intreccio, però sviluppandoli sul palcoscenico e dietro le quinte di un anticato teatro/set/circo, costituisce una buona soluzione dei problemi d'assuefazione e d'anacronismo; inoltre, la rilettura del romanzo operata dal duo very british mentre allontana (ferendo a morte i cinéfili) il melò estremo incarnato dall'algido fulgore della Garbo, corregge la più diffusa forzatura del testo. Quella, cioè, connessa alla natura della fedifraga Anna, che non è o non è solo una tragica, sacrale eroina vittima della «morale» della Russia zarista (e magari di sempre), bensì un'egocentrica, impulsiva e persino un po' isterica sfidante dell'ipocrisia, della claustrofobia e del decoro societari. Tali qualità s'adattano alla fisionomia e alla recitazione della Knightley, la cui Anna risulta credibile perché naturalmente moderna sia nella scandalosa e infelice passione per il biondo e riccioluto conte Vronsky, sia nello scontro che rifiuta i compromessi suggeritigli un po' da tutti con il gelido consorte senatore Karenin, sia nell'entrare e uscire dal 1874 indossando magnifici abiti, pellicce, accessori che puntano a sembrare sofisticatamente vintage. Rispetto agli altri adattamenti, il film concede più spazio al parallelo connubio tra l'alter ego Tolstoiano Levin e la virginale Kitty, il possidente umanitario e la donna-madre che materializzano, con un surplus metaforico tipico dello Stoppard di 'Shakespeare in Love', l'ideale pre-rivoluzionario di una nazione pacificata e solidale tra classi alte e classi basse. Nell'insieme il film scorre fluido su di una mappa pressoché coreografica (nel ricordo del 'Moulin Rouge' di Luhrmann) perché, come abbiamo premesso, non costringe tutta la sua energia nella morsa dell'esibita finzione e, anzi, chiede spesso alla cinepresa d'infrangerla; come accade nella stupenda sequenza del valzer galeotto in cui l'immobilità innaturale degli astanti serve a fare percepire come Anna e Vronsky stanno in realtà facendo l'amore".
Valerio Caprara (Il Mattino)

"Cos'altro dunque può aggiungere, nel bene e nel male, alla vicenda cinematografica di questa eroina ottocentesca la versione di Joe Wright con la diafana Keira Knigthley? Eppure, siamo stati fin da subito conquistati dal dispositivo che il regista e lo sceneggiatore (Tom Stoppard, quello di 'Shakespeare in Love') hanno utilizzato per mettere in scena quest'archetipo letterario. Qualcuno vi dirà il «teatro», giacché la storia s'ambienta dichiaratamente negli spazi di un vecchio teatro, tra il palcoscenico, le quinte, la platea, l'attrezzeria, il foyer.... Ma non è solo questo, e soprattutto non si tratta di una versione teatrale del celebre romanzo. Joe Wright compie idealmente un'altra operazione: immagina che gli spiriti di questa storia d'amore immortale siano rimasti imprigionati per sempre tra i legni di un vecchio teatro, come se questa vicenda letteraria avesse ormai perso qualsiasi possibilità di una rivisitazione realista e fosse assurta a puro immaginario, fosse tornata ad essere l'essenza stessa di una messa in scena, di un racconto. Ecco, è attraverso l'esposizione dichiarata della macchina scenica, in un continuo entrare e uscire tra finzione e «realtà», ormai del tutto mistificata, che si compie ed esaurisce la storia tra Anna e il suo giovane milite, in una Russia sognata. Il film inizia dalla platea di un teatro, innanzi alla quale s'erge un sipario di velluto pesante che s'apre per magia con l'avanzare dello sguardo rivelando la scena e i suoi «attori», presi a vivere i loro personaggi. Non sono attori che recitano Anna Karenina, il marito senatore, l'ufficiale Vronsky... loro sono l'essenza stessa di quei personaggi; il teatro, adesso, non è più un luogo fisico, ma è uno spazio immaginario da cui si può evadere, e si evade, ogni qualvolta la scena lo imponga, portandoci sulla distesa immensa di un prato verde, testimone muto dell'amore adulterino, o sui binari di un treno, in una stazione giocattolo, tra modellismo e immensa scenografia. Ecco, quello che ci ha affascinato di questa rilettura è proprio l'invenzione della macchina scenica, l'essere riusciti a calare le pene d'amor ottocentesco in una macchina sognante che riesce ad evocare in un sol colpo le tante forme di rappresentazione, dal teatro delle marionette al circo, dalla lanterna magica al cinema, balzando dall'una all'altra con grandissima libertà, rintracciando nei più diversi generi (opera, operetta, melodramma, musical, teatro di parola...) il senso di una storia eterna. (...) Non si tratta, mai, di puro esercizio di stile, perché l'abbraccio tra la vicenda e la sua rappresentazione, tra l'essenza della prima e la forza della seconda, è avvincente".
Dario Zonta (L'Unità)
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