Drammatico di Vuk Rsumovic con Denis Muric, Milos Timotijevic, Pavle Cemerikic, Isidora Jankovic, Igor Borojevic´ 97 minuti - Serbia 2014
"È tutto da scoprire questo film fantastico (...). Emozionante sempre ma sconvolgente nel finale, il film del 40enne Vuk Rsumokiv è di commovente freddezza ma con lo sguardo critico e una pietas crudele per la sorte jugoslava. Negli occhi di Denis Muric si legge il bene e male della nostra civiltà, dall'ignoranza al dolore." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera')
"Gradualmente ma nettamente (...) il film si distacca dai confronti con opere (anche se la sensibilità truffautiana resta) riferite a realtà e/o leggende del passato lontano, e dal loro sguardo pedagogico, filosofico, antropologico, perché la vicenda s'intreccia, con mirabile fluidità, alla contemporaneità storica. La disintegrazione della Jugoslavia, le guerre, la divisione e la ferocia etnica. (...) Alcuni dettagli simbolici parlano al posto delle spiegazioni: le scarpe, quelle da ginnastica sostituite con gli anfibi, la comparsa delle armi e della reciprocità di odio tra persone che appena poco prima convivevano. Il senso, che passa appunto attraverso una rappresentazione quasi muta e tutta condivisa con il punto di vista selvaggio e innocente del protagonista, è quello di un percorso che al piccolo Haris ha tolto più che dato. Si è parlato di 'purezza' per questo film e la definizione è calzante. La condivisione di punto di vista si esprime delicatamente nei tagli di inquadratura all'altezza, variabile nel corso della storia, dello sguardo di Haris, facendo propri tanto la sua diffidenza che i suoi incantamenti. L'interprete, che si chiama Denis Muric, fornisce una prova di grande intensità." (Paolo d'Agostini, 'La Repubblica')
"(...) il regista e sceneggiatore di Belgrado, classe 1975, sa infondere in una storia individuale, e così idiosincratica, i cascami sociali del conflitto nell'ex Jugoslavia. E lo fa senza sforzi, bensì umanisticamente, contrapponendo l'umanità delle bestie alla bestialità degli uomini. Non scomodiamo 'II ragazzo selvaggio' di Truffaut o un 'Libro della giungla' balcanizzato, ma non si fa dimenticare: guerra e pace, romanzo di formazione e favola morale, dramma privato e ricadute geopolitiche, stile già maturo e metafore non peregrine, 'Figlio di nessuno' non cerca (solo) il sensazionalismo, ma la sensibilità. La nostra: lo adottiamo?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano')
"C'è quasi più Spielberg che il Truffaut de 'II ragazzo selvaggio' (i due si adoravano e quindi il binomio ha senso) in questo debutto di grande precisione: gli adulti non vengono inquadrati inizialmente in volto ('E.T.') e la guerra diventa una mattanza senza suono per via della perdita dell'udito ('Salvate il soldato Ryan'). Finale aperto. Pochi dialoghi, attori giovani pazzeschi. Regista assai promettente." (Francesco Alò, 'Il Messaggero') |