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JACKIE
Drammatico/Biografico
di Pablo Larrain
con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt, Richard E. Grant
100 minuti - USA, Cile 2016

"Non ho mai voluto la fama, sono solo diventata una Kennedy" confessa una commossa Jackie Kennedy nelle ultime battute di Jackie, biopic diretto da Pablo Larrain. Conoscendo le doti artistiche e l'intelligenza del regista cileno, sapevamo di doverci attendere una biografia non convenzionale. Per il suo primo film in lingua inglese, Larrain accetta di costruire il ritratto di una delle icone di classe ed eleganza del XX secolo fotografandola nei tre giorni che sconvolsero il mondo, la sua famiglia e la sua stessa esistenza. Jackie è un lavoro su commissione. Larrain stesso ha spiegato che a proporgli l'incarico è stato Darren Aronofsky, produttore del lungometraggio con la sua Protozoa Pictures. In cambio il cineasta cileno ha preteso di avere come protagonista Natalie Portman, l'unica attrice con cui avrebbe lavorato a questo progetto. Scelta che, a visione avvenuta, non potrebbe rivelarsi più azzeccata. Jackie prende le mosse da un'intervista rilasciata da Jacqueline Kennedy a un reporter interpretato da Billy Crudup, il quale si reca a casa della vedova del Presidente John F. Kennedy con l'obiettivo di farsi raccontare a caldo l'omicidio del marito. Da questa intervista, inframezzata da flashback che vedono Jacqueline alle prese con i propri doveri di First Lady prima e dopo la morte di JFK, prende il via un racconto caleidoscopico dal quale emerge, tassello dopo tassello, il ritratto di una donna coraggiosa, consapevole, determinata e al tempo stesso ricca di ombre e ambiguità. A inaugurare Jackie è un lungo primo piano su Jackie Kennedy. Lo sguardo fermo, la dignità che trapela dal portamento, gli occhi bagnati dalle lacrime. La First Lady che ha fatto sognare il mondo con il suo caschetto bruno, i tailleur pastello, i tubini scuri con fili di perle abbinati viene ritratta nel momento del dolore. Un dolore sordo, composto, che la vedova del Presidente convoglia nella programmatica organizzazione del funerale del marito per far sì che lui abbia il commiato che merita. Per far percepire agli Stati Uniti e al mondo intero il peso dell'enorme perdita subita. L'incipit di Jackie è programmatico. Pablo Larrain non maschera le sue intenzioni dichiarando fin da subito l'intento di volersi concentrare esclusivamente sull'ex First Lady. La sua prima mossa, una volta accettata la regia del biopic, è stata quella di espungere dalla sceneggiatura un terzo delle scene che non vedevano direttamente coinvolta la vedova del Presidente. Questa scelta permette al regista di realizzare un biopic talmente denso e complesso che prevediamo durerà nel tempo visto che, per apprezzarne la complessità, sono richieste più visioni. Di conseguenza tutti i personaggi che ruotano attorno a Jackie nelle ore successive alla morte di JFK non sono altro che emanazioni dirette della sua persona. Bobby Kennedy, il cognato pragmatico e razionale, i piccoli Caroline e John, figli della coppia presidenziale, l'assistente personale, le guardie del corpo, e ancora il vice Lyndon Johnson e sua moglie, tutto l'entourage presidenziale sono solo ombre che fluttuano mentre Jackie si erge stoica in mezzo a loro, determinata a tributare al marito un commiato adeguato. Il ritratto di Jackie Kennedy si compone attraverso flash che la mostrano in momenti diversi: oggetto di un'intervista intima, perfetta padrona di casa intenta a registrare una trasmissione in cui presenta le migliorie introdotte alla Casa Bianca per giustificare di fronte alla nazione le spese sostenute (e qui Larrain torna a sfoderare la sua abilità nel giocare con i formati ricreando finte immagini di repertorio), vedova impegnata a organizzare il funerale del marito mentre si prepara a dire addio alla Casa Bianca. Ogni frammento di questo puzzle va a comporre un quadro complesso, necessario a rendere giustizia a una personalità sfaccettata, fiera, capace di slanci di coraggio. Una donna divisa tra dolore privato e Ragion di Stato. La volontà di Pablo Larrain di costruire il ritratto problematico di una delle donne più celebri del nostro tempo si concretizza in un'opera rigorosa. Pur non rinunciando a un punto di vista critico, il regista dimostra di non essere interessato a fornire un giudizio univoco su questa figura né a speculare sulle sue fragilità. Mentre apre il proprio cuore al prete interpretato da un magnifico John Hurt, Jackie accenna ai problemi coniugali e all'infelicità provocata dai comportamenti del marito, ma lo fa in maniera fugace, evitando il rischio di alimentare quella curiosità morbosa per il privato dei Kennedy che da sempre accompagna la famiglia più celebre d'America. Natalie Portman si conferma interprete sontuosa. Supportata da un grande cast di comprimari, aiutata dal trucco e dai costumi che riproducono le mise di Jacqueline Bouvier in Kennedy, l'attrice è semplicemente perfetta. La sua compostezza, l'eleganza, la voce dolce e sottile, ma ferma; la Portman non si limita a fornire una performance mimetica, ma ogni suo gesto, ogni parola contribuiscono a restituire tutta la dolcezza, la fermezza e la fragilità di un'icona del passato attraverso un'interpretazione moderna. Operazione necessaria per un ritratto in chiave critica quale è quello proposto da Pablo Larrain. Si pensi alla fermezza sfoderata da Jackie nel minacciare velatamente Lyndon Johnson e gli altri capi di stato che si rifiutano di marciare dietro la bara di Kennedy nel timore di ulteriori attentati, al sibilato "Io non fumo" rivolto al giornalista che la sta intervistando mentre stringe una sigaretta tra le dita o alla scelta di non cambiarsi d'abito prima di scendere dall'aereo che trasporta la bara del marito, mostrando al mondo il tailleur rosa Chanel macchiato dal sangue di Kennedy divenuto parte della coscienza collettiva. Jackie è ritratta come una donna consapevole del proprio ruolo e attraverso il suo sguardo Pablo Larrain fornisce una nuova prospettiva sulla morte dell'innocenza americana. Il finale del film lascia trasparire il rimpianto per ciò che è stato e per ciò che avrebbe potuto essere. Quando Bobby Kennedy si lamenta che tutto è finito, che adesso saranno altri a prendersi il merito della risoluzione della crisi missilistica, del programma spaziale e del Vietnam (palese l'ironia del regista sull'operato di Johnson), l'unica risposta possibile è il commiato dolente di Jackie a Camelot, luogo di bellezza, di gioventù, di eleganza spazzato via da una pallottola che, con Kennedy, ha ucciso la speranza di purezza di una nazione.
Valentina D'Amico (Movieplayer.it)
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