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Mercoledì 09 Ottobre 2024
Parrocchia S.Stefano
di Osnago
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Don Emilio Figini

(1912-1939)

Altro sacerdote d’alta statura pastorale. Amato e stimato da tutti. Ancor spesso nominato per saggezza e competenza, ma soprattutto ancor venerato per la sua generosità e per il suo altruismo. Sulla bocca di chi ha ormai superato il “mezzo del cammin di nostra vita”, “ul Figini” sembra evocare una figura di parroco che nei ventisette anni di permanenza in Osnago ha saputo conquistarsi il cuore di tutti con grande familiarità.
Personalmente lo ricordo in visita a casa mia principalmente in occasione di commissioni ch’egli affidava a mio padre allora dipendente della libreria arcivescovile di Milano: la ditta Daverio. Abitavamo allora in Via S. Carlo. Ci raggiungeva a piedi. Don Figini non usava mezzi di locomozione. Andava ovunque spostandosi unicamente con le proprie gambe. Va ricordato comunque che quasi ogni luogo abitato d’allora era di facile raggiungibilità. Con una semplice camminata di qualche minuto, dalla chiesa ci si portava ai Tubei (verso nord), più oltre c’erano solo campi. A est il limite era il Cassutun. A sud: i Fopa, l’asilo infantile e la Villa Spinella; poi si estendevano campi fino alla Cappelletta. Escluso il cimitero che, per legge, aveva dovuto essere collocato distante dall’abitato. A ovest, oltre ai Picitt, c’era solo la Villa Galimberti e la grande tessitura. Oltre la ferrovia, la cascina Dosso Nuovo si trovava a quattro passi. Qualche decina di minuti in più veniva richiesta per raggiungere le abitazioni del Colombaio e dell’Aurora. Più impegnativo era il cammino verso le cinque Orane. Il Trecate, che pur si trova in territorio comunale, appartiene alla parrocchia di Maresso. Le cascine dislocate verso Est: il Dosso e la Canova non erano poi così distanti dal centro paese. Comunque, don Figini abituato com’era a intessere rapporti familiari con tutti non si poneva neppure il problema di eventuali difficoltà nel mettersi in cammino per raggiungere qualsiasi luogo abitato dai propri parrocchiani. Del resto, anche in occasione delle benedizioni natalizie (si chiamavano così, allora), al parroco e al suo coadiutore bastavano tre giornate intere per passare in rassegna tutto il paese. Se dovesse interessare una piantina con l’indicazione approssimativa dei luoghi abitati nei primi decenni del ‘900, potrebbe essere formulata come da cartina.
In definitiva ci si conosceva tutti senza la necessità di riunioni particolari. In chiesa ci si andava tutti. Anzi veniva spesso segnato a dito e sogguardato chi non praticava gli impegni religiosi. Il parroco conosceva tutti e ciascuno. Sapeva individuare ogni famiglia anche col nomignolo con cui venivano appellati allora i vari nuclei familiari, le grandi famiglie patriarcali che poi, col tempo, si smembrarono. Si faceva un preciso impegno di visitare spesso i malati, i diseredati. Capitava di frequente anche all’asilo. Ci additava i quadri dei benefattori defunti, appesi alle pareti dell’aula dei grandi, invitandoci a pregare per loro, in segno di riconoscenza. Ci sorrideva quando con semplici preghiere ci vedeva partecipare in divisa ai funerali, soprattutto a quelli dei nostri coetanei. Frequenti, allora. Condivideva con il suo gregge gioie, ansie, e preoccupazioni. Per chiunque, aveva una parola di conforto, di incoraggiamento, di gratitudine, anche.
Ma soprattutto condivideva la miseria in cui versavano talune famiglie magari numerose. In particolare portava soccorso a coloro che vivevano in condizioni decisamente precarie, in modo particolare alla Cappelletta dove, escluse le famiglie dei Bassano, dei Comi e dei Casiraghi, quelle che vi erano sopraggiunte evidenziavano situazioni di estrema povertà. E don Figini si privò di tutti i propri averi per fornir loro il necessario. Tutta la popolazione pronunciava convinta un detto significativo: "ul Figini l’è vegnüü a Usnàch sciuur e l’è mort puerett". "Assoluta verità", testimoniano ancor oggi coloro che contano qualche decina d’anni più di me. Le virtù del parroco Figini si possono tuttavia evidenziare anche in altri settori. Innanzitutto godeva di una capacità oratoria straordinaria. Qualcuno, commentando la fotografia pubblicata di recente su “Le nostre chiese” in cui egli procede alla benedizione in occasione dell’inaugurazione della casa del fascio nel 1935, ha espresso questo commento: "E’ lì che sembra parlare con la sua abituale facondia, con l’entusiasmo e con la comunicativa che gli eran proprie. E, in quell’occasione, doveva sentirsi veramente coinvolto e appassionatamente consenziente verso ciò che si stava celebrando. "Che mai?! Col fascismo!?". Col senno di poi siamo tutti pronti a condannare oggi il fascismo. Ma a quei tempi non era così. Don Figini condannava aspramente l’operato delle squadracce fasciste, però aveva dovuto fronteggiare anche qualcosa di spiacevole nei primi anni della sua missione di parroco. Infatti, se don Carlo Dassi aveva sapientemente proceduto in opere incentivanti la cooperazione sociale nella comunità, scomparso lui la situazione si era andata progressivamente deteriorando. Ne fanno buona memoria i più anziani fra noi, anche in virtù di quanto recepito da chi è scomparso magari da poco. Specialmente a conclusione della Prima Guerra Mondiale si era manifestata qui tra noi una forte tensione contestataria senza dubbio inquietante per un parroco.
Gruppi di manifestanti sfilavano davanti alla chiesa inneggianti alla bandiera rossa e, capovolgendola sopra i gradini dell’ingresso, andavano scandendo a gran voce alcuni slogans contro la Chiesa e i preti. Erano parole inquietanti che non promettevano nulla di positivo. Per contrastarli, il parroco aveva organizzato la “Lega bianca” capeggiata da alcune ragazze ormai adulte che proponevano controsfilate inneggianti a valori decisamente opposti a quelli dei manifestanti di cui sopra. Intanto serpeggiavano in paese alcuni movimenti sovversivi che tendevano ad infiltrarsi anche nella benemerita società del Circolone. Nacque allora l’iniziativa di fondare un “Circolo Bianco” che ebbe sede in Via S. Carlo.
Era gestito da un Magni (Chinóta) che sempre in Via S. Carlo impiantò anche un proprio mulino, una rivendita di carbone, acquistò una macchina selezionatrice di sementi... Insomma fu creata una netta concorrenza con la cooperativa già esistente. Comunque, per varie cause queste ultime realizzazioni vennero ben presto ridimensionate; e proseguì invece inalterato il cammino della prima fondazione sociale.
L’arrivo del fascismo con le sue promesse d’ordine, di disciplina, di benessere e di grandiosità non potè far a meno di entusiasmare tutti quanti, compresi i nostri sacerdoti. Nessuna meraviglia quindi se don Figini appare come oratore appassionato in una festa popolare condivisa da tutta la popolazione fra la quale spiccano bandiere e divise che, al giorno d’oggi, non incontrano più quel medesimo consenso. Dal punto di vista politico, però, don Figini ben sapeva che il sano ideale socialista dei suoi parrocchiani non facinorosi poteva ritenersi anche positivo. In proposito, don Ernesto Casiraghi, parlandomi proprio di questo, mi rassicurò: "Alcuni erano socialisti, ma guai a toccargli la chiesa! Avevano cinque appuntamenti con l’Eucaristia: a Natale, a Pasqua, al Corpus Domini, all’Assunta e ai morti. Più fedeli di così!" Nella stessa conversazione, don Ernesto mi confidò che egli aveva conservato il diapason ch’era appartenuto al parroco Figini.
E qui occorre ricordare che don Emilio era provetto musicista. Seguiva lo svolgersi di canti utilizzando il diapason e si mostrava oltremodo intollerante a qualsiasi trasgressione canora. Richiamava apertamente chi faceva cattivo uso della voce, chi non stava al tempo, chi tendeva a calare. Il coro doveva risultare ben armonico. Altrimenti scalpitava. Era convinto che la nostra gente fosse particolarmente intonata ed attribuiva questa prerogativa alla perfetta intonazione del concerto delle nostre campane.
Sapeva anche allestire ineccepibili concerti corali per l’accompagnamento delle sacre funzioni solenni. In oratorio, usava spesso il palcoscenico allestendo compagnie teatrali che sapessero anche proporre impeccabili esecuzioni corali o comunque canore. Teneva in grande considerazione l’oratorio. A lui competeva la cura della gioventù femminile. E si mostrò un po’ contrariato dal fatto che Osnago avesse realizzato appe- na un oratorio maschile a cui le ragazze potevano accedere praticamente solo dopo che i maschi se ne fossero andati. Perciò lanciò l’iniziativa di una realizzazione, a breve, anche di un oratorio femminile. Acquistò il terreno dirimpetto a quello maschile. Invitò le ragazze ad autotassarsi ogni domenica e, un po’ con questi fondi, un po’ con i suoi mezzi personali, un po’ con l’aiuto della Provvidenza, prima che si concludessero gli Anni Venti del Novecento, l’oratorio femminile potè essere realtà concreta. Alla chiesa di Santo Stefano regalò il bassorilievo dell’Ultima Cena che collocò sotto l’altare maggiore. Dotò il guardaroba per le celebrazioni liturgiche di un coordinato completo di paramenti per la messa solenne e per i Vesperi. Diede inizio ad un progetto per la realizzazione di una nuova chiesa che avrebbe dovuto sorgere dietro al monumento ai Caduti, nel terreno che la famiglia Spinella aveva messo a disposizione purchè la realizzazione fosse avvenuta entro il 1960. La 2a Guerra Mondiale e la conseguente altissima inflazione vanificarono ogni progetto e annullarono ogni speranza in proposito.
Don Emilio Figini era particolarmente devoto alla Madonnina delle Grazie che si venerava presso le Orane. Nelle sere del mese di maggio, alternandosi con il coadiutore si recava lassù a piedi, quasi in pellegrinaggio personale. Teneva per gli oranesi una funzioncina tutta particolare permeata di canti e di preghiere che avvincevano i cuori e confortavano gli animi di tutti. Il suo “predichino” era un autentico sermone. La mia mamma che era delle Orane mi diceva che perfino gli uomini, pur affaticati dall’intenso lavoro nei campi, tipico del periodo, perfino loro non mancavano mai quand’era lui a predicare lassù. Per la festa della cappellina, che si svolgeva in ogni prima domenica di maggio, si mostrava entusiasta nel percorrere processionalmente la strada tutta parata a festa con sandaline e festoni colorati.
Dinanzi alla cappellina contemplava ammirato quella specie di tempietto che con veli e tappeti veniva allestito con cura. Purtroppo, proprio mentre tornava in parrocchia con la processione, dopo essere stato lassù a festeggiare, fu sorpreso da un tale acquazzone che gli fu presto causa del suo decesso. Infatti, il 18 maggio la sua vita cessò perchè aveva contratto un’incurabile broncopolmonite. Ero piccolo, ma ho ancora ben impresso il ricordo del suo funerale. Fu un’autentica apoteosi di stima e di affetto da parte di tutta la cittadinanza e di gran parte del Clero Diocesano, perfino. Si era nel 1939. Don Figini lasciava alla parrocchia almeno tre associazioni ben organizzate e idonee a protrarre la propria attività nel tempo, con incisività anche nei confronti del tessuto sociale. La prima veniva denominata “San Vincenzo” ed era impegnata a recepire le situazioni di povertà all’interno della comunità per fornire aiuti e assistenza. La seconda era l’Azione Cattolica, con il compito di polarizzare soprattutto la gioventù nel praticare con coerenza gli ideali cristiani a beneficio di tutti. La terza, ossia la Confraternita del Santissimo Sacramento, perseguiva l’incremento della devozione eucaristica e la pratica del suffragio nei confronti dei fedeli defunti, anche con un contributo in denaro per la sepoltura. E don Figini si fece carico di incrementare e consolidare queste associazioni.

- scritto nell'anno 2006 -

Autore del testo

Alfredo Ripamonti
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